Raffaello in guerra by Stefano Scansani

Raffaello in guerra by Stefano Scansani

autore:Stefano Scansani [Stefano Scansani]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Compagnia editoriale Aliberti
pubblicato: 2020-03-14T23:00:00+00:00


Per parte nostra si trattava dello svolgimento di un lavoro contemplato nelle mansioni che il ruolo richiedeva in quel momento: era tempo di guerra e non poteva esserci scelta. Certamente i pericoli incombevano, ma la mente non correva mai a quelli; non si trattava di esibire coraggio innato o incoscienza; allora c’era chi combatteva e chi doveva provvedere ad altre funzioni, meno esibite ma ugualmente utili al Paese.

Sul cassone centinato e telonato sembrava di stare in un santuario. Avrebbe dovuto portar bene. Dio Padre si affacciava una volta nel fondo oro di Giotto. La Madonna era raffigurata in quattro dipinti. Addirittura due volte in due opere. Gesù bambino tre volte. Il Cristo dei dolori una volta. I santi erano complessivamente diciassette, senza contare gli angeli e gli altri spiritelli. C’erano anche due devoti donatori a mani giunte e in ginocchio. E anche due dragoni, due cani levrieri e un uccellino. Un mondo spirituale e terreno su ruote. Una processione notturna sottocoperta.

Tornarono il ronzio, il fracasso, il boato. Tornava il cacciabombardiere, proprio quando il camion stava per affrontare l’incrocio con la statale 12, per saltare dall’altra parte e proseguire. I partigiani l’avevano detto che il quadrivio era pericolosissimo. In mezzo alla strada c’era un brulichio di ombre di militari tedeschi, parecchia agitazione e neanche una luce. Il camionista capì al volo e spense i fari del Fiat-SPA 38R. Nessuno vide più nulla. Quelli della Wehrmacht non notarono l’autocarro della “Spedizioni Orlandi Milano”. I piloti dell’aereo non videro più niente di sotto e mitragliarono le frasche più indietro, forse sopra la polveriera, dentro il bosco della Saliceta. Il camionista sterzò e perse la direzione. Dell’Acqua, in equilibrio sopra il cassone, allargando le braccia e le gambe trattenne i dipinti.

Silenzio.

Sia il camionista con l’imballatore Gemelli in cabina sia Dell’Acqua là dietro condivisero la scelta: guai a fermarsi, dovevano procedere per chilometri così com’erano, separati, pur di allontanarsi il più possibile dall’incrocio, dalla Cappella del Duca, dal bosco della Saliceta, dalle rotte del cacciabombardiere.

La Cappella del Duca è un tempietto cilindrico coperto con una cupola di lastre di piombo. Chi non ne conosce la storia può scambiarla per una sorta di casa cantoniera o una garitta. Non ha i caratteri esteriori dell’oratorio fatto edificare per grazia ricevuta perché il committente era un uomo in crisi, lì per lì per perdere il suo Stato. Il 16 novembre 1848, uscito dalla carrozza per sgranchirsi le gambe, il duca Francesco V schivò il colpo di schioppo sparatogli da Luigi Rizzati, mazziniano, studente di farmacia. Quel semplice cilindro, oggi finito nel mezzo di una rotonda, segna la fine del ducato di Modena e Reggio. È l’epilogo architettonico di una storia strepitosa. Deludente, se lo si raffronta alla magniloquenza del Palazzo Ducale di Modena, ancor meglio alla Galleria Estense. E ancor di più alla quadreria che vantava Francesco III fino al 1745, anno in cui il principe in bancarotta decise di vendere cento dipinti al bulimico re di Polonia e principe Elettore di Sassonia Augusto III. Valore: centomila zecchini d’oro.



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